Trama
:
Pietro
e
Alvise
sono
i
due
eredi
di
una
famiglia
di
pescatori
della
Giudecca,
l'isola
più
popolare
di
Venezia.
Si
scontrano
nel
cuore
della
trasformazione
inarrestabile
che
sta
cambiando
la
vita
e
l'identità
di
Venezia
e
della
sua
gente:
l'impatto
sempre
più
profondo
del
turismo
globale
ha
modificato
il
rapporto
stesso
tra
città
e
cittadini,
tra
casa
e
vita
e la
pandemia
ha
reso
ancora
più
evidente
questa
crisi.
Pietro
nonostante
fatiche
e
solitudini,
vorrebbe
continuare
a
pescare
moeche,
i
granchi
tipici
della
laguna;
Alvise
vede
invece
nella
loro
casa
di
Giudecca
lo
strumento
ideale
per
ripartire
tentando
di
entrare
nell'élite
del
potere
immobiliare
che
governa
la
città.
Il
loro
scontro
coinvolge
tutta
la
famiglia
in
un
racconto
corale
di
come
sta
cambiando
il
nostro
mondo.
Venezia,
isola
della
Giudecca.
Le
famiglie
di
tre
fratelli
-
Alvise
(Andrea
Pennacchi),
Piero
(Paolo
Pierobon)
e
Toni
(Roberto
Citran)
- si
riuniscono
a
tavola
nella
casa
dove
sono
nati.
Dove
ormai
abita
solo
Piero,
ma a
cui
Toni
le è
molto
legato
perché
da
lì
insieme
si
muovono
con
un
paio
di
amici
per
praticare
la
pesca
di
moeche,
ovvero
i
granchi
di
laguna.
A
seguito
di
un
incidente
improvviso,
l'abitazione
di
famiglia
assume
un
valore
ancora
più
cruciale
e
mette
Alvise
-
che
vorrebbe
ristrutturarla
e
metterla
a
rendita
come
"dimora
di
charme"
per
turisti
stranieri
-
contro
Piero,
ostinatamente
contrario
a
trasferirsi
sulla
terraferma.
Il
discorso
amoroso
che,
da
Io
sono
Li
a
Il
pianeta
in
mare,
Andrea
Segre
intrattiene
con
Venezia
e la
Laguna,
si
arricchisce
di
un
nuovo
capitolo,
mentre
si
allarga
la
famiglia
dei
suoi
interpreti.
A
Roberto
Citran
(Io
sono
Li,
La
prima
neve)
e
Paolo
Pierobon
(La
prima
neve),
L'ordine
delle
cose)
si
affiancano
in
Welcome
Venice
alcune
graditissime
presenze:
Andrea
Pennacchi
(che
in
La
prima
neve
aveva
solo
un
piccolo
ruolo),
Ottavia
Piccolo,
Sandra
Toffolatti,
Anna
Bellato.
Tutti
interpreti
che
farebbe
piacere
vedere
molto
più
spesso
nei
titoli
di
testa
del
nostro
cinema.
Dopo
Molecole,
girato
nella
città
silenziosa,
svuotata
dalla
pandemia,
Segre
torna
a
ragionare,
usando
la
chiave
del
conflitto
fraterno,
sulla
trasformazione
della
città
svuotata,
dello
smarrimento
dei
pochi
abitanti
rimasti.
Nel
tentativo
di
catturare
le
tracce
e i
fili
della
sua
cultura
più
autentica,
di
difenderne
la
bellezza
fragile,
nascosta
ai
più,
e
registrare
l'affermarsi
di
una
mentalità
sempre
più
predatoria
e di
un
turismo
invasivo,
disinteressato,
epidermico.
L'elegia
arcaica
delle
placide
ma
anche
pericolose
distese
d'acqua
(se
si
nasce
in
laguna,
meglio
imparare
presto
a
nuotare)
e
dei
dialoghi
anche
cinefili
tra
burberi,
irsuti
moecanti
è
agli
antipodi
della
fretta
del
villeggiante
frettoloso,
che
dopo
aver
ottemperato
all'obbligo
del
selfie
attestatore,
invece
di
esplorare
la
Serenissima
si
chiude
in
un
b&b
a
mangiare
pizza
e
sushi.
Un
salto
quantico,
che
si
consuma
tra
le
parole
di
"Nina
ti
te
ricordi",
cantata
nell'incipit
non
a
caso
dal
più
piccolo
degli
interpreti
-
canzone
popolare
che
rievoca
pudiche
asprezze
di
una
povertà
non
così
antica
-
agli
anglicismi
del
personaggio
di
Giorgio
(Stefano
Scandaletti),
imperturbabile
finanziatore
venuto
da
fuori,
che
"vende"
l'esperienza
turistica
parlando
di "roots",
radici.
Quelle
che
rendono
unici
i
veneziani
rispetto
ai
cittadini
di
qualsiasi
altra
città
nel
mondo.
Prima
che
il
conflitto
tra
tensioni
contrarie
esploda,
il
film
apre
a
stupefacenti
momenti
di
grazia
contemplativa
e di
humour
lagunare:
modulazioni
di
luce
sull'acqua,
solitudini
notturne
mal
trattenute,
cruciali
chiacchiere
da
osteria.
Epifanie
silenziose,
come
un'inquadratura
che
coglie
la
forma
di
un
occhio
sotto
l'arco
di
un
ponte,
grazie
al
suo
riflesso
nell'acqua:
forse
un
invito
a
fermarsi,
scovare
la
bellezza
segreta,
lontano
dalle
luci
più
intense.
A
volere
di
meno
e
vivere
di
più.
L'illusione
di
riscatto
sociale
attraverso
gli
schei
rapidi
stride
con
l'economia
a
filiera
corta
di
moeche
fritte,
registri
di
piccola
vendita
scritti
a
mano,
trattative
di
quartiere.
Non
un'idealizzazione
nostalgica,
piuttosto
il
recupero
dei
principi
elementari
di
una
socialità
originaria,
sobria,
lenta,
universale.
Gli
umani
possono
svestirsi
della
loro
storia,
mutare
identità
come
i
granchi
perdono
il
carapace,
ma
la
Natura
avrà
sempre
la
meglio
su
chi
va
di
corsa,
suggerisce
Segre
in
un
finale
crepitante
che
suona
come
un
campanello
d'allarme,
un'ultima
chiamata
all'umanità.
La
regia
di
Welcome
Venice,
come
già
anticipato
prima,
riesce
a
catturare
perfettamente
l’essenza
delle
ambientazioni
che
dipinge.
Questa
caratteristica
denota
un
amore
viscerale
per
tali
luoghi,
segno
che
Andrea
Segre
li
conosce
fin
troppo
bene,
a
tal
punto
da
girare
un
trattato
sul
conflitto
cambiamento
e
modernità,
ma
anche
sul
tradimento.
L’autore,
infatti,
nonostante
non
intervenga
sul
piano
critico,
si
sente
tirato
in
causa
e
tradito,
avvertendo
un
genuino
e
forte
affetto
della
Venezia
priva
di
costrutti
turistici,
che
non
rovinano
i
luoghi,
ma
lo
cambiano
però
alla
fondamenta,
andando
a
minare
la
sua
visione
passionale
dei
territori
originari.
Welcome
Venice
è un
film
potente
e
carico
di
significato,
capace
di
affrontare
tematiche
attuali,
ma
con
sempre
il
piede
puntato
sul
territorio.
La
regia
di
Andrea
Segre
è
attenta
a
trasmettere
le
peculiarità
della
terra
veneta,
riuscendo
al
tempo
stesso
a
narrare
una
storia
eterna
e
indimenticabile,
con
il
cuore
puntato
al
folklore
e
alla
tradizione,
ma
l’occhio
che
guarda
al
cambiamento
e ne
rimane
profondamente
deluso.
Personaggi
e
interpreti
magistrali
chiudono
una
pellicola
di
rara
bellezza
che
trova
una
dimensione
propria
all’interno
del
panorama
filmico
italiano.
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