ORARIO

  Lunedì 11/10   N.D. RASS. Cinema Ritrovato
 
  Martedì 12/10   Ore 21.00
     
  Mercoledì 13/10    N.D.  RASSEGNA

 

 

 

 

 

 

 

 


'Premio Speciale della Giuria' al Festival di Venezia

Un'opera audace, sicuramente respingente e che necessita di essere accolta con più di qualche sforzo, ma anche capace di premiare lo Spettatore disposto a cedere una forte istanza narrativa per lasciarsi travolgere dall'esperienza audiovisiva.

 

Regia: MICHELANGELO FRAMMARTINO

Nazione: Italia/Germania/Francia - Durata: 93 min. - Genere: DocuFilm Drammatico

IL TRAILER

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Un nuovo capitolo del viaggio di Frammartino fra natura e la difficile e precaria convivenza con l'uomo. Il buco è un affascinante discesa in una grotta nel Pollino calabro insieme a un gruppo di speleologi che ci si avventurarono nel 1961.
Il cinema del reale è una definizione con i suoi limiti, ma permette di includere lavori tradizionalmente esclusi dal genere documentario.
Michelangelo Frammartino dimostra ne Il buco come si possa rimettere in scena un’avventura al confine fra i regni, animale e vegetale, con la potenza della verità, oltre che della realtà. Siamo nel 1961, all’apice del Miracolo economico vissuto dal nostro paese dopo gli sfaceli della Guerra. Milano è la locomotiva del boom, e inaugura in pompa magna l’edificio più alto d’Europa, il grattacielo Pirelli. Partiamo proprio da lì, dal profondo nord benestante, per spostarci poi dal punto più alto, nascosto nei cieli dalla nebbia e dall’inquinamento, fino alla parte opposta del paese, in Calabria, nelle profondità della terra. Un gruppo di entusiasti e giovani speleologi, infatti, giungono nell’altopiano calabrese del Pollino, immergendosi in una grotta appena scoperta, sopra l’abisso del Bifurto, che si rivelerà una delle più profonde al mondo, fino a quasi 700 metri.
Una migrazione al contrario che consente uno sguardo inedito sul sud che tutti stavano abbandonando, ma soprattutto un
nuovo capitolo dell’indagine di Frammartino sulla relazione fra gli spazi della natura e la presenza dell’uomo. Una sua passione fin dai suoi studi di architettura. Il buco conferma, a undici anni da Le quattro volte, la sua maestria nel coreografare il legame biunivoco fra natura e uomo, senza gli sterili accademismi autoreferenziali di molti suoi colleghi. La sua è una visione offerta con sincero entusiasmo alla condivisione, gioca con i tempi e le inquadrature in maniera da rendere Il buco appassionante e mai noioso.

Mentre seguiamo queste esplorazioni di grande fascino, in cui il regista si è spinto anch’esso con la troupe a grandi profondità, osserviamo anche i momenti liberi e conviviali della spedizione, oltre alle giornate sempre uguali dei testimoni di una natura ancora quasi incontaminata. In particolare quelle di un anziano pastore, raro occupante di un universo di esseri umani che abitano in simbiosi con quella natura.

Dopo il percorso di vita degli alberi,
Frammartino indaga il mondo minerale che c’è al di sotto, regalando immagini memorabili dei paesaggi del Pollino, sostenuto da una cura maniacale nella costruzione delle inquadrature. Sono piccoli particolari pieni di inventiva e di sapienza registica a rendere Il buco una vera immersione sensoriale. Da una porta che si chiude e attutisce improvvisamente i rumori di una messa, alla vena che pulsa sulla mano di un anziano, ma soprattutto una colonna sonora fatta di rumori antichi che regala un’esperienza immersiva rara, sempre più giù nella profondità di un territorio inesplorato.
Il ciclo della vita non scalfisce neanche l’immutabilità indifferente eppure meravigliosa della natura. Il buco ce ne regala uno sguardo, ci apre per un’ora e mezzo gli occhi su una delle infinte risposte della Terra che mozzano il fiato ai goffi tentativi dell’uomo di ambire all’assoluto. Per noi rimane però la socialità, bastano due tiri a un pallone da calcio o prendersi cura di un anziano che sta per concludere il suo ciclo.  (ComingSoon)

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Nel 1961 un gruppo di speleologi si è addentrato all'interno dell'Abisso di Bifurto, un buco lungo 683 metri nel Parco del Pollino. L'anno prima, al Nord, si completava la costruzione avveniristica del grattacielo Pirelli di Milano, vista dagli abitanti del sud raggruppati davanti allo schermo dell'unico televisore del paese. A quel movimento verticale e ambizioso verso l'alto, poi simbolo del boom economico anni Sessanta, è corrisposto il movimento speculare e contrario verso le viscere della terra compiuto dal gruppo degli speleologi, la cui impresa ha avuto un'eco anch'essa speculare e contraria a quella dei costruttori milanesi: ovvero quasi nulla.
Un decennio dopo Le quattro volte, Michelangelo Frammartino estrae dall'oscurità quell'evento, effettuando un'operazione a lui familiare: quella di far emergere dal buio le immagini.
Fin dalla prima inquadratura de Il buco figure umane e animali si fanno strada conquistando la luce, ovvero il diritto ad esistere cinematograficamente. Per Frammartino l'entrata in scena di uomini e cose è un momento di fondamentale importanza (basti ricordare il parto della capra ne Le quattro volte, che introduceva un personaggio nell'inquadratura senza alcuna intromissione registica), e le anse dell'Abisso si rivelano a noi a poco a poco, lasciando e ritrovando le tenebre.
La profondità cava e il suo vuoto vertiginoso sono evidenziati dall'eco di un richiamo o dalla luce di un foglio che brucia, altrimenti negate alla nostra vista. La cinepresa di Frammartino, che si intrufola all'interno del buco e ci mostra la grana di ogni parete, e il Dolby Atmos, che ci fa percepire ogni respiro degli speleologi in discesa, ci regalano un'esperienza immersiva rendendoci tutt'uno con l'eroica impresa.
Ma non c'è solo l'interno del buco: ci sono anche i grandi spazi esterni, filmati senza alcuna tentazione da National Geographic. Non è infatti l'estetica fine a se stessa a interessare Frammartino, ma la relazione autentica fra gli spazi e gli esseri viventi. Nel pascolo aperto un mandriano governa le sue mucche con richiami che fanno il paio con quelli degli speleologi verso la profondità, e il racconto che lo riguarda è anch'esso speculare (e per certi versi contrario) a quello degli speleologi: sono penetrazioni (e per certi versi profanazioni) reciproche, quella degli speleologi nel territorio del mandriano, quella delle mucche e dei cavalli nel campeggio della spedizione scientifica.
L'Italia dei grattacieli e quella rurale del Sud viaggiano a velocità e in direzioni opposte, ma anche gli scienziati del Nord e i contadini calabresi vivono realtà sfalsate: gli speleologi dormono accanto alla statua di Cristo accostandosi a quel mondo arcaico e credente con pari rispetto ed estraneità, e mentre si addentrano nel mistero della roccia il mandriano li guarda da lontano, lui che è naturalmente capace di mimetizzarsi con il bosco.
Frammartino restituisce tridimensionalità allo schermo scavandolo con la luce, lascia che sia la natura stessa a rivelarsi secondo i suoi ritmi, e che siano i suoi suoni e non i dialoghi a parlare. La "civiltà" ha il volto di un giornalista che si inerpica lungo il Pirellone, o di Kennedy e la Loren che sorridono dalle pagine dei rotocalchi, destinate a bruciare per rendere visibile l'invisibile, o evidenziare il rimosso: che è ciò che fa il cinema, nella sua accezione migliore. Infine Frammartino ci lascia con un quadro bianco, e il mondo termina inghiottito dalla nebbia, prima che dalle luci della sala.  (MyMovies)