MERCOLEDI 7 MAGGIO ore 21,00



Un film di GRETA SCARANO
Italia - 95' - Commedia

E' nata una Regista !
Il grande debutto alla regia di Scarano
è una commedia lieve e inclusiva,
piena di cuore e ironia

 

La TRAMA : La Vita da Grandi, il film diretto da Greta Scarano, vede protagonista Irene (Matilda De Angelis), una giovane donna che vive a Roma, lontana dalla città in cui è nata, Rimini, e da un passato che ha cercato di lasciarsi alle spalle. La sua routine viene interrotta quando sua madre le chiede di tornare per qualche giorno e occuparsi del fratello maggiore, Omar (Yuri Tuci), un ragazzo autistico con un sogno ben preciso: diventare indipendente.
Omar non ha alcuna intenzione di dipendere da Irene o da chiunque altro quando i loro genitori non ci saranno più. Ha un piano chiaro per il suo futuro: vuole sposarsi, avere tre figli - perché tre è il numero perfetto - e diventare un cantante rap famoso. Ma per riuscirci, prima di tutto, deve imparare a essere autonomo.
Per Irene, il ritorno a Rimini si trasforma in un viaggio emotivo inatteso. Tra le mura della loro casa d'infanzia, carica di ricordi e sentimenti irrisolti, i due fratelli si ritrovano a condividere giorni intensi. Omar, con la sua determinazione e il suo mondo pieno di regole personali, sfida le certezze di Irene, costringendola a guardare la realtà con occhi nuovi.
Quello che inizia come un compito imposto si trasforma in un'esperienza di crescita per entrambi. Irene diventa la guida di Omar in un percorso di piccole e grandi conquiste: prepararsi da solo, prendere decisioni, affrontare il mondo con sicurezza. Ma, nel farlo, si accorge che anche lei sta imparando qualcosa di fondamentale: crescere non significa solo prendersi responsabilità, ma anche fidarsi, lasciarsi andare e accettare che, a volte, si ha bisogno di qualcuno accanto.
In un viaggio fatto di sorrisi, difficoltà e musica, Irene e Omar scoprono che diventare adulti non è mai un percorso solitario. Perché, in fondo, la vita da grandi si impara insieme.

La RECENSIONE : Irene sta per comprare un appartamento a Roma con il suo compagno, ma viene richiamata nella sua città natale, Rimini, per occuparsi del fratello maggiore Omar. Sua madre deve partire per approfondire delle analisi mediche, suo padre l'accompagnerà e occorre prendersi cura di un fratello autistico che ha sogni ambiziosi. Per realizzarli la sorella prova a fargli un "corso intensivo per diventare adulti" che include la scelta di salire o meno sul palco di un talent show a esibirsi e coronare così il desiderio di una vita. Nel frattempo, grazie a Omar, sarà la stessa Irene a capire molto di se stessa e di cosa voglia veramente dalla vita.
È una tenera commedia di formazione emotiva a due teste, il film che segna il debutto alla regia dell'attrice Greta Scarano.
Nel suo La vita da grandi mette tutto il suo cuore, la dolcezza e quell'approccio irriverente al mondo che restituisce sullo schermo attraverso la figura di Irene, interpretata al meglio da Matilda De Angelis. Una ragazza carismatica, dallo spirito rock e dalla battuta pronta, che ha scelto un compagno protettivo (Adriano Pantaleo) e una vita lontana dalla famiglia. Ma il nòstos, Omero insegna, è un viaggio inevitabile e pieno di peripezie da cui non si può che tornare cambiati. Specie se si ritorna nella casa abitata da un fratello speciale come Omar. Lo interpreta l'ottimo Yuri Tuci, attore autistico scovato per caso in rete grazie al trailer del suo spettacolo Out is me. Il ritorno di Irene nella sua vita cambierà entrambi, tutti e due dovranno crescere e confrontarsi con "la vita da grandi" del titolo. Ne sintetizza bene il senso Scarano che cofirma anche la sceneggiatura, l'adultità è la capacità di fare delle scelte. Anche sbagliate.
Folgorata dal libro di Damiano e Margherita Tercon (i Terconauti) "Mia sorella mi rompe le balle. Una storia di autismo normale", Scarano firma una commedia garbata che parla di sogni, legami familiari, inclusione, ma anche chiassose cene familiari davanti al televisore, tra racconti, incomprensioni e recriminazioni (spicca la performance di Maria Amelia Monti, nel ruolo della madre legittimamente apprensiva). Al suo debutto nel lungometraggio la neoregista dimostra di avere già uno stile definito - chi aveva avuto modo di vedere il suo corto Feliz Navidad lo sapeva - e di non aver paura di osare una storia e un tema su cui era facile schiantarsi, sprofondando nella retorica o nel ricatto morale. Questo film riesce a evitare entrambi, puntando tutto sull'ironia e la verosimiglianza della messa in scena (finalmente un cinema italiano lontano dagli agi ostentati dell'alta borghesia, che mostra la quotidianità di famiglie "normali"), rendendo perdonabile a chi guarda qualche ingenuità di scrittura. Tanto è coinvolgente il racconto del legame che si rinsalda tra i due protagonisti, tra conflitti, risate, paure e speranze condivise. Affronteranno anche il tema cruciale per tutti i fratelli del mondo - specie per chi ha sorelle/fratelli con handicap - del "cosa fare dopo la morte dei genitori".
Più vicino alla commedia di formazione che al dramma esistenzialista, l'opera fluisce con un buon ritmo senza mai dimenticare il binomio efficace di cuore e umorismo, profondità e leggerezza, neanche nella scena del reality show, dove spuntano Mara Maionchi, Ferzan Ozpetek, Valerio Lundini e Malika Ayane. Oltre a sensibilizzare su temi importanti come autismo, inclusione sociale e autodeterminazione delle persone con disabilità, invitando con scanzonata leggerezza a oltrepassare ogni pregiudizio, etichetta e stereotipo di sorta, Scarano ricorda a chi guarda che la fratellanza non è un legame scontato. Si costruisce giorno dopo giorno concentrandosi sulle potenzialità dell'altro, più che sui limiti o difetti, impegnandosi reciprocamente a supportare più che a sopportare.  (Claudia Catalli - MyMovies)

 

 

 


MERCOLEDI 21 MAGGIO ore 21,00



Un film di PUPI AVATI
Italia - 107' - Drammatico/Thriller

Il film con cui il regista Pupi Avati
torna in maniera convincente al genere horror

e torna a guardare in direzione del cosiddetto “gotico padano”: un film dell’orrore, dunque, che si muove in una dimensione ottundente, lirica e onirica, per raccontare alcune delle ossessioni avatiane, dal culto dei morti all’amore perduto e irrintracciabile, fino alla follia come dimensione altra, e al cinema/allucinazione. Un’opera preziosa dall’andamento classico e d’antan.


La TRAMA : L'Orto Americano, il film diretto da Pupi Avati, inizia a Bologna alla vigilia della Liberazione. Un giovane aspirante scrittore (Filippo Scotti) dalla mente contorta, incrocia casualmente lo sguardo di un'ausiliaria americana (Mildred Gustafsson) dal barbiere e se ne innamora follemente.
Non la dimenticherà mai e anni dopo decide di andare negli Stati Uniti per scrivere il suo romanzo definitivo. Quando arriva in una cittadina del Midwest, scopre che nella casa vicina vive un'anziana signora che ha perso ogni traccia della figlia. Di notte, dall'orto della donna, provengono inquietanti urla. L'uomo ricollega alcuni dettagli sinistri e si convince che la figlia dell'anziana vicina sia proprio il suo amore americano, di nome
Barbara.
Decide così di volerla ritrovare. Le ultime notizie che la madre ha di lei è che ha sposato un italiano e vive in una cittadina alla foce del Po. Lo scrittore torna in Italia per condurre le sue ricerche e scopre verità macabre che non si immaginava nemmeno...

La RECENSIONE : Pupi Avati non cessa mai di stupirci. Magari non tutti i suoi film ci sono piaciuti, su molte cose la pensiamo diversamente da lui, ma è forse l'unico autore talmente compenetrato col cinema da arrivare a dirigere ben 43 film (contando solo quelli per il cinema) in 57 anni di carriera, esplorando generi e tematiche, dal grottesco al religioso, dal biografico alla commedia, dal sentimentale all'horror, riuscendo a lasciare un'impronta personale in tutti, con una modalità produttiva dal budget contenuto e un parco attori che gli si è sempre dimostrato devoto. A 86 anni Avati continua a sperimentare, coi generi, con la musica e con la scrittura, visto che è anche autore di numerosi libri, romanzi e di una biografia. Gli amanti del cinema di paura lo hanno elevato a maestro grazie a film che hanno segnato veramente il nostro immaginario con l'originalità delle storie e delle ambientazioni, creando quel gotico padano che ha reso plausibile storie come quelle narrate in La casa dalle finestre che ridono, Zeder, L'arcano incantatore e i più recenti, da Il Signor Diavolo a questa sua nuova impresa, L'orto americano, che ci riporta nello Iowa di Bix e de Il nascondiglio. Perché Avati ci crede a queste favole oscure, che da bambino gli venivano raccontate vicino al focolare, dove tra tanta fantasia c'era anche qualche cruda verità, e riesce ancora a farci credere a quello che oggi ci racconta lui.
Nel suo nuovo film (tratto dal suo romanzo omonimo, adattato e "aggiustato" per lo schermo insieme al figlio Tommaso Avati), tornano alcuni temi che il suo cinema ha già percorso: il colpo di fulmine, il secondo dopoguerra, le voci dei morti, l'irruzione del soprannaturale in un mondo popolato di personaggi mostruosi e crudeli, spesso dissimulati sotto le spoglie più miti. Il protagonista – un intenso
Filippo Scotti, che a tratti assomiglia al giovane Franz Kafka, intrappolato in un incubo da lui stesso creato – è un ragazzo di Bologna, che vuole fare lo scrittore ma a causa della sua tendenza a parlare coi morti (le foto dei defunti che lo accompagnano sempre) viene rinchiuso giovanissimo in manicomio. Guarito, scrive libri che nessuno pubblica, finché non gli capita l'occasione di passare un periodo in America, nell'Iowa, dove spera di scrivere il suo grande romanzo. Lì, in modo del tutto sorprendente, si trova come vicina l'anziana madre di una ragazza bellissima, un'infermiera dell'esercito americano di cui si sono perse le tracce in Italia e che si presume morta per mano di un serial killer (vArmando De Ceccon, bravissimo). Forse, ma il ragazzo ne è convinto, si tratta della stessa donna, sirena e chimera insieme, di cui si è innamorato perdutamente dopo averle brevemente dato un'indicazione mentre si trovava dal barbiere. Il suo dovere, dopo aver trovato un macabro reperto sepolto nell'incolto orto della vicina, è trovarla, o almeno renderle giustizia.
La storia, però, colma di coincidenze ed eventi strani, è solo un pretesto per mettere in scena una danza macabra in cui una belva assetata di sangue nobilita le feroci mutilazioni che compie sul corpo femminile scrivendo in forma di diario le sue azioni, interpolate da antichi epigrammi greci. In un raffinatissimo bianco e nero (nella splendida fotografia di
Cesare Bastelli), che accentua la cornice gotica pura del racconto, Avati ci narra una storia da incubo, in cui gli assassini in catene devono entrare strisciando in una gabbia del tribunale, dove la gente satura degli orrori della guerra chiede di riparare ai delitti con altra morte, dove le bare si aprono, i morti resuscitano e le vagine si animano negli incubi. Amore e Thanatos, paura del sesso e desiderio bestiale, romanticismo e follia si mescolano in un film suggestivo, in cui gli attori si muovono essi stessi come ectoplasmi. L'inglese Rita Tushingham, la "It Girl" del Free Cinema Britannico, già riscoperta da Avati per Il nascondiglio, offre un bellissimo ritratto di vecchia impazzita dal dolore, che ricorda i personaggi di certo cinema dell'orrore americano interpretato da vecchie glorie come Bette Davis e Joan Crawford, Chiara Caselli è un perfetto Virgilio nel ruolo della locandiera che fa da guida al ragazzo e Roberto De Francesco è impeccabile in una parte per lui insolita, ma non c'è davvero nessuno fuori parte. E non possiamo non citare Sergio Stivaletti, autore di un effetto speciale artigianale impressionante, da grande scuola del cinema di genere.
Ognuno, da un film, porta a casa quello che gli resta, che spesso è molto poco. Ecco, di un film come
L'orto americano, recitato per altro in gran parte in inglese, nonostante qualche minimo difetto, ci resta molto a livello sensoriale, come quella sottile sensazione di disagio che ti prende e ti fa sentire in colpa quando vedi cose che sai che non dovresti/vorresti vedere. E in questo Pupi Avati, cattolico credente e praticante, che coi morti - dice - ci parla davvero , ricopre la parte del diavolo, ancora una volta, da maestro.   (di Daniela Catelli - ComingSoon)