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“In
pochi si sono chiesti perché, vedendo un film di David Lynch, ci si
sente a casa”, ha scritto
Roy
Menarini,
appassionato studioso del cinema di Lynch.
“Anche di fronte ai mondi più oscuri, alle minacce più irrazionali,
alla violenza più raccapricciante, l’universo ribattezzato come
Lynchtown è diventato per noi famigliare. Amiamo abitarci, tornarci,
metterci alla prova ogni volta. E non è un caso che la notizia
improvvisa della morte del regista americano abbia suscitato una
delle più sincere e unanimi ondate di affetto che si ricordino per
un artista: evidentemente quel piacere di fronte ai suoi racconti
distorti e geniali è sempre stato dettato dall’integrità artistica e
dalla trasparenza creativa. Lynch, in pratica, ci ha sempre detto la
verità, si è confessato con un candore unico, si è spogliato delle
sue visioni e le ha condivise senza filtri, da uomo generosissimo
quale era e testardamente dedito al suo cinema e alle sue immagini.
Rivedere tutti insieme i suoi film significa ora riguardare in
prospettiva tutta la nostra Lynchtown personale, perdendoci
volontariamente in quel magnifico e impareggiabile labirinto
visionario dove i confini tra un’opera e l’altra tendono a sfumare”. |