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						Il Concorso, 
						film diretto da Philippa Lowthorpe, è basato sui fatti 
						accaduti durante il concorso di Miss Mondo del 1970, 
						tenutosi a Londra e presentato dall'attore
						Bob Hope (Greg 
						Kinnear). La competizione ai tempi era 
						seguitissima in tutto il mondo, il programma contava 
						infatti milioni di spettatori. 
						Un gruppo di donne esponenti del Women's Liberation 
						Movement, capitanate dall'attivista 
						Sally Alexander (Keira 
						Knightley), ha interrotto la gara di 
						bellezza, salendo sul palco, per protestare con tanto di 
						cartelli e smuovere l'opinione pubblica. Questo gesto ha 
						permesso al movimento di liberazione, che era stato 
						fondato di recente, di ottenere la fama oltre i confini, 
						grazie alla diretta in mondovisione. Il concorso, tanto 
						discusso e attaccato, è ripreso in modo normale, dopo 
						l'allontanamento delle attiviste, ma è terminato con una 
						svolta storica, la vittoria di Miss Grenada, 
						Jennifer Hosten (Gugu 
						Mbatha-Raw), la prima vincitrice nera di 
						Miss Mondo. 
						Una doppia vittoria quella sul palco londinese, che ha 
						permesso alle donne di esprimere la loro opinione, 
						dimostrando di non dover per forza sottostare al 
						patriarcato, e di vedere finalmente incoronato un ideale 
						di bellezza troppo a lungo discriminato. 
						 
						RECENSIONE  di 
						Carola Proto  (ComingSoon) 
						La sera del 20 novembre del 
						1970, nella Royal Albert Hall di Londra, accadde 
						qualcosa di molto importante e insieme molto buffo. Come 
						in un film muto con Charlie Chaplin o
						Mack Sennet, volarono sacchi farina fra 
						signore imbellettate e tromboni da palcoscenico. Nello 
						stesso tempo però, come in altri momenti fondamentali 
						della storia dell'emancipazione femminile, le donne 
						vinsero una piccola battaglia, una di quelle che, anni 
						dopo, hanno portato alla nascita del #MeToo. 
						Intendiamoci,
						
						Il Concorso non è un film sul #MeToo, 
						non è una condanna della violenza sulle donne e nemmeno 
						pretende di diventarlo. E’ femminista quanto può esserlo 
						un feel-good movie che si rivolge alle bambine 
						come alle ragazze nonché alle donne giovani e meno 
						giovani (e perfino a quelle che sono salite sulle 
						barricate 50 anni fa) e, più che di abuso sessuale, 
						parla di mercificazione del corpo femminile, anzi di 
						tendenza a considerare il corpo femminile come unico 
						metro di giudizio, in uno spettacolo che somiglia a una 
						fiera del bestiame ma non solo. 
						C’è una scena in cui il concetto è molto chiaro, ed è il 
						momento in cui, nel bel mezzo della serata dedicata 
						all'elezione di Miss Mondo, le concorrenti si voltano 
						per far ammirare i loro fondoschiena alla giuria e
						
						Philippa Lowthorpe lascia che la 
						sua macchina da presa si fermi un po’ più del dovuto, a 
						sottolineare il disappunto di fronte a un simile 
						rituale. Ma in gioco c’è anche tanto altro nel film, o 
						meglio diverse sono le storie da raccontare e diversi i 
						punti di vista da sostenere. Non ci sono soltanto le 
						sostenitrici più radicali del Movimento per la 
						Liberazione delle Donne ne Il Concorso, 
						e quindi le ragazze più giovani e sboccate che nei 
						luoghi del sapere mettono le bucce di banana in testa ai 
						busti maschili in pietra. C’è anche la colta e non così 
						povera studentessa universitaria e madre di famiglia
						Sally Alexander (Keira 
						Knightley), che sventola la bandiera 
						dell'anti-sessismo in maniera più cauta. 
						Poi ci sono due reginette di bellezza con la pelle nera: 
						Miss Grenada, che conquistò il titolo di Miss Mondo 
						diventando la prima donna di colore a vincere la 
						competizione, e Miss Africa South (da non confondere con 
						Miss South Africa, bianca come il latte), che arrivò 
						seconda. Al di là dell’importanza delle loro vittorie, 
						la ragione sta anche dalla loro parte, perché senza la 
						gara di beltade nessuna delle due avrebbe potuto 
						lasciare il segno e sarebbe rimasta invisibile agli 
						occhi del creato, e per questo i due personaggi appaiono 
						alla fine più di rottura delle ragazzacce che dalla 
						platea si precipitarono sul palco impugnando pistole ad 
						acqua. Infine non bisogna dimenticare Eric 
						e JuliaMorley, gli organizzatori del 
						concorso, che non hanno assolutamente l'aria né i modi 
						da villain, ma che sono inconsapevolmente un 
						prodotto del vecchio che non aveva ancora lasciato 
						spazio al nuovo. In effetti Rhys Ifans 
						è un po’ troppo autocompiaciuto nell'interpretazione del 
						primo, e ciò rende il personaggio stranamente simpatico. 
						Più sgradevole, allora, è il Bob Hope 
						di Greg Kinnear, incarnazione del 
						seduttore hollywoodiano che proprio non ce la fa a non 
						guardare con occhio bramoso le ragazze in costume. Forse 
						è lui l'antesignano di Weinstein & Co., 
						ma non ce ne importa più di tanto. 
						In ogni modo, tutte queste storie, o meglio questi 
						piccoli gruppi, danno al film una giusta effervescenza, 
						sebbene nella parte iniziale rendano il racconto un po' 
						sfuggente e spezzettato. Ma poi, arrivata la sera della 
						gara, tutto torna a posto e si crea la giusta tensione, 
						una tensione da brit-comedy intrisa di 
						nostalgia vintage, ovviamente, ma che farà comunque 
						infervorare il pubblico femminile, pronto a 
						identificarsi con le varie eroine. 
						Non è né
						
						Pride e né
						
						Suffragette Il Concorso, 
						nonostante il produttore esecutivo in comune, ma è una 
						testimonianza storica comunque importante che tuttavia 
						si affida troppo al sicuro talento degli attori e a una 
						confezione impeccabile, a cominciare dai costumi di
						Charlotte Walter. Eppure qualcosa 
						sfugge al controllo della regista: l'espressione 
						smarrita della splendida e brava Gugu Mbatha-Raw. 
						La sua Miss Grenada dal viso di bambola e le lunghe 
						gambe altro non è se non l’espressione di quel 
						turbamento, o sgomento, che nasce dalla consapevolezza 
						che tante società patriarcali sono ancora dure a morire, 
						e che il cammino per l'uguaglianza è tutt'ora lastricato 
						di insidie, che si parli di genere, classe o razza. 
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