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La critica ha sempre catalogato
Qualcuno volò sul nido del cuculo come un’opera sulla
situazione dei malati mentali e sulle carenze istituzionali nel
trattamento del disagio psichico. In realtà Miloš Forman stravolge
sia il romanzo di Ken Kesey del 1962 che l’opera teatrale di Dale
Wasserman del 1963 (provocando l’ira dei due scrittori: Ken Kesey
porterà avanti un’azione legale contro la produzione che si
concluderà con un patteggiamento). Anche sul set i litigi furono
molteplici, sia con Jack Nicholson che con i direttori della
fotografia. L’idea portante del film è il rapporto tra individuo e
sistema di potere e i diversi modi di affrontarlo. Si può aggredire
il sistema dall’esterno colpendolo con campagne mediatiche, attacchi
politici, lotte armate. Oppure lo si può minare dall’interno
cercando di farlo implodere.
Siamo nei primi anni Sessanta. Randle Patrick McMurphy (Jack
Nicholson) è condannato per violenza sessuale su una quindicenne e
prova a farsi passare infermo di mente trascorrendo un periodo in un
ospedale psichiatrico di Salem (Oregon) per essere valutato da
eminenti professori. Ma venendo a contatto con i degenti della
clinica e subendo il potere repressivo della capo infermiera Ratched
(Louise Fletcher) decide di stabilire un’alleanza con i diversi
malati per sovvertire l’ordine costituito. Il governo autoritario
stabilito dalla Ratched (Miloš Forman lo paragona al Partito
Comunista cecoslovacco degli anni Sessanta) si basa su precise
regole, su una rigorosa segmentazione del tempo, su riti e gesti
routinari che hanno lo scopo di spegnere ogni capacità di critica e
giudizio individuale. Si mangia a certi orari, si ascolta musica
classica ad alto volume per impedire la conversazione, ci si mette
ordinatamente in fila per prendere la propria razione di succhi di
frutta e psicofarmaci. Per i più esagitati c’è in serbo
l’elettroshock e per gli irriducibili la lobotomia frontale. Il volo
di McMurphy nel nido del cuculo (in gergo americano The Cuckoo’s
Nest è il manicomio) è l’incontro di una apparente normalità
con una apparente diversità.
Miloš Forman sottolinea con grande introspezione psicologica lo
scambio tra questi due mondi rappresentando il microcosmo
ospedaliero come una prigione e facendo evolvere il personaggio di
Jack Nicholson verso la consapevolezza che ogni società è
strutturata su precise leggi di dominio dei più forti sui più
deboli. L’attore, guidato da un Miloš Forman in stato di grazia,
fornisce una delle migliori interpretazioni della sua carriera:
osservatelo nella scena della partita a carte o nel momento in cui
mima una partita di baseball a beneficio dei degenti. L’anarchia di
McMurphy diventa il grimaldello per gettare il caos in un ordine
fittizio costruito sulla fragilità di individui psicologicamente
manipolabili. Billy (Brad Dourif) affronta il fantasma del super Io
materno lasciando emergere il proprio istinto sessuale, il grande
capo Bromden (Will Sampson) realizza di avere la forza fisica per
evadere (“sono diventato più forte”), Martini (Danny De
Vito) assapora la bellezza di una giornata di pesca fuori da quelle
mura claustrofobiche, Taber (Christopher Lloyd) trasforma la sua
rabbia in riso nel momento del malinconico finale, Charlie (Sydney
Lassick) fa esplodere la sua emotività ed empatia verso gli eventi
drammatici che accadranno nella struttura, Harding (William Redfield
che morirà poco dopo la fine delle riprese per leucemia) fa outing
sulle sue difficoltà matrimoniali e sessuali, Bruce (Vincent
Schiavelli) vincerà le sue paure e vorrà allearsi con gli altri
ribelli nella distruzione del potere dittatoriale della Infermiera
Ratched. Milos Forman coglie ogni gesto e ogni espressione con la
macchina da presa in una resa quasi documentaristica: la presenza
continua di porte blindate, sbarre, lucchetti rimanda a questa
situazione di costrizione. Pur inizialmente mosso da buone
intenzioni il comportamento della infermiera Ratched, nel momento
dell’attacco di McMurphy, si trasforma in sadico, approfittando
delle singole debolezze di ogni degente. McMurphy d’altro canto
comincia ad affezionarsi ai suoi amici matti e il suo gesto solidale
verso Billy nel sottofinale lo rivela nella sua profonda umanità. A
impreziosire tutto il racconto si aggiunge la fantastica colonna
sonora di Jack Nitzsche che accompagna uno dei finali più struggenti
di tutta la storia del cinema. (di Fabio Fulfaro -
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