Un film di Gianluca Matarrese
Con il Prof. Maurizio Bini
Francia/Svizzera/Italia - Documentario - 104
Un film che affronta dilemmi etici, sociali e
legali presenti non solo in Europa e nelle democrazie
occidentali, ma anche a livello globale.
Un medico che trasforma vite, il ritratto di
una umanità complessa, la necessità del
servizio pubblico: il clamoroso documentario
di Gianluca Matarrese è umanista e
sorprendente. Unico italiano al Sundance
2025
Volessimo limitarci all’ambito lessicale, di
quel normativo che fissa le regole e spesso
anche i limiti,
gen è
l’abbreviazione che troviamo nei vocabolari
e nelle enciclopedie per riferirci al
genere. Ma bisogna guardare oltre il
trattino basso del titolo, nel suffisso che
annuncia altre parole che contengono mondi
e, in un modo o nell’altro, entrano in
GEN_,
clamoroso documentario di Gianluca Matarrese
presentato all’ultimo Sundance Film Festival
(la coproduzione coinvolge anche Francia e
Svizzera, con Dominique Barneaud, Donatella
Palermo e Alexandre Iordachescu).
E così ecco che
la lista di termini con il prefisso gen-
svela – nei titoli di testa che
squadernano sconfini – il glossario medico (genetica,
geni,
genotipo,
genoma),
il pedigree sanitario (genitali,
genere),
la questione sociale (genealogia,
generazione,
genitori,
genitrice),
il diaframma politico (gender,
genocidio),
l’orizzonte emotivo (gente,
gentile,
genesi,
genetliaco)
del film. Che trova nel quotidiano del
dottor Maurizio Bini, responsabile della
struttura Diagnosi e Terapia della Sterilità
e Crioconservazione dell’ospedale Niguarda
di Milano, l’occasione per inquadrare il
privilegio – evidentemente non economico –
di lavorare nel pubblico, di coltivare il
sempre più raro esercizio dell’ascolto, di
mettersi accanto ai percorsi di coloro messi
ai margini dall’attuale maggioranza di
governo.
È lo stesso Bini a informarci del metodo
operativo e, di riflesso, a indicarci una
lente per interpretare ciò che vediamo. C’è
un piano pratico, anzi esecutivo, che
rivendica e ricorda il ruolo politico e la
dimensione etica di un mestiere che incide
sulle vite e quindi sulla società: “Lei ha
avuto tre aborti – dice Bini a una paziente
– ma da gennaio la legge italiana fissa a 46
anni il limite per la procedura (la
procreazione medicalmente assistita, ndr).
Noi ce ne freghiamo: i medici non sono dei
legalisti, certe volte devono decidere su
cosa è giusto e cosa è legale e in questo
caso è ingiusto. Ci saranno conseguenze? Me
le assumo io”.
E poi c’è un piano più teorico, che si muove
tra metafore e aforismi, passando da
somiglianze impreviste (“I funghi sono come
noi, devono incrociare una spora di un sesso
diverso per fare figli”) a luoghi comuni da
sovvertire (“Pecora nera? No, mosca bianca!”
a un ragazzo impegnato in una transizione di
genere) passando per piccole lezioni su
grandi questioni (“Non stappiamo lo
champagne al test di gravidanza, la felicità
deve essere uguale alle dimensioni del
bambino: deve andare adagio” ).
E ce n’è un altro ancora, meno esposto ma
che attraversa tutto il film, e che
testimonia l’ineluttabile riflesso militante
del lavoro: nella routine delle visite (che,
come spiega lui stesso, in quel determinato
settore è meno presente rispetto ad altre
specializzazioni) e dei matching (a chi
assegnare cosa in base ai fenotipi), Bini
trova anche il tempo di mettersi al pc e
contestare una decisione del governo
(“Perché ospitiamo gli embrioni ucraini e
non quelli di Gaza? Il rischio è lo stesso.
Nei paesi nordici lo fanno per una questione
pratica, noi perché si pensa che l’embrione
sia già una vita: ma se lo fai per evitare
un genocidio, allora devi usarlo anche per
la nazione che ti è meno simpatica”).
Scritto da
Matarrese e Donatella Della Ratta,
GEN_ è
un magnifico trattato contro la pornografia
dei sentimenti e il vizio di giudicare il
prossimo, esaltato da un approccio dalla
vocazione naturalmente umanista: se del
dottore vediamo sempre il volto autorevole e
rassicurante e sentiamo sempre la voce
nitida e gioviale (negli esterni diventa un
corpo in movimento, una figura che contempla
il paesaggio, un paio di occhi nello
specchietto dell’auto), è nella
rappresentazione dei pazienti che Matarrese
traccia la linea, concentrandosi sulle mani
che non danno pace ai colli, alle voci che
mutano per effetto delle terapie, alle nuche
sfuggono i primi piani dei volti.
Sono pezzi di realtà per catturare la
complessità di un mondo che non può ridursi
al sistema binario (nel parterre ci sono
persone trans così come coppie etero
infertili e l’anagrafe si rivela un ostacolo
spesso più ostile della riaffermazione), per
restituire anche a livello sociologico le
contraddizioni e i paradossi di una
specificità locale per raccontare al
contempo qualcosa che riguarda altre
democrazie occidentali.
Ne viene fuori una ricca, sorprendente,
appassionante commedia umana, la cronaca di
quel che accade in uno spazio aperto dove si
trasformano vite, si coltiva il desiderio di
realizzare quel sogno che ti salva. E che,
infine, rivela anche un lato addirittura
struggente quando capiamo che il dottor Bini
si sta preparando a cedere il testimone a
una nuova
generazione: il futuro come promessa,
la speranza di una rigenerazione. (da Cinematografo)