RASSEGNA del Mercoledì
* I Film della Rassegna di Novembre *

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Mercoledì 30/11

 

 

MERCOLEDI' 9 NOVEMBRE Ore 21,00


 

 

Genere: Drammatico - Paese: Iran -  Durata: 106 minuti

Regia: JAFAR PANAHI

 

Attori: Jafar Panahi, Naser Hashemi, Reza Heydari, Mina Kavani, Sinan Yusufoglu, Mina Khosrovani, Bülent Keser

Il regista dissidente è incarcerato in Iran,
ma il suo ultimo lavoro ha entusiasmato la critica

Foto: JP Production

Bisognerà cercarlo con attenzione, perché uscirà in poche copie, ma giovedì 6 ottobre arriva nelle sale cinematografiche italiane un film d'autore notevolissimo: si intitola 'Gli orsi non esistono' ed è il lavoro più recente del cineasta iraniano Jafar Panahi, aperto oppositore del regime. Il lungometraggio era in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2022, ma il suo autore non era presente perché arrestato e condannato a sei anni di prigione un paio di mesi prima. Una detenzione che la comunità internazionale ritiene illecita e persecutoria.
 'Gli orsi non esistono' è stato realizzato con mezzi di fortuna: dal 2010 Jafar Panahi
non può lasciare il paese, rilasciare interviste e girare film. Divieto, quest'ultimo, che lui ha aggirato, confezionando nuove opere e riuscendo a presentarle ai Festival di Cannes e Berlino. Lo scorso 11 luglio si era recato presso il pubblico ministero di Teheran per chiedere notizie di due colleghi da poco arrestati: condannato per direttissima, è stato subito incarcerato.
Ciò ha reso ancora più d'impatto
la trama di 'Gli orsi non esistono': racconta di Panahi che si trasferisce in un paesello al confine con la Turchia per dirigere a distanza (quando il segnale web lo consente) il film che la sua troupe sta girando nella città turca al di là del confine. Questo secondo lungometraggio racconta la storia vera di una coppia di esuli iraniani che tentano di partire per Parigi con documenti falsi. Inoltre, scattando una fotografia, Panahi ha fatto scoprire una coppia di fidanzati clandestini: bisogna gestire la situazione.
Questo intreccio fra realtà e finzione, realismo e messa in scena, è uno dei discorsi che innervano tutto il cinema di Jafar Panahi. Un
autore stimatissimo e premiatissimo nel mondo, grazie a opere come 'Il cerchio', 'Taxi Teheran', 'Tre volti' e 'Offside', solo per citare i titoli più famosi. Altro tema a lui caro è la condizione umana in un mondo dove tradizioni ancestrali e divieti politici limitano grandemente le libertà delle persone. Cosa che, tra l'altro, riverbera in modo particolare con la cronaca di questi giorni, caratterizzata dalle estese proteste motivate dalla morte dell'iraniana Mahsa Amini, picchiata dalla polizia per avere indossato il velo in maniera non corretta.  (Quotidiano.net)

Un atto politico sul valore della libertà: si può riassumere così il potentissimo “Gli orsi non esistono”, nuovo film di Jafar Panahi che ha ottenuto un meritato Premio Speciale della Giuria all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Una pellicola che acquista ancor più valore considerata la situazione che sta vivendo lo stesso autore: il grande regista iraniano è stato arrestato lo scorso luglio dal governo del suo paese per scontare la condanna a sei anni di reclusione inflittagli nel 2010, perché accusato di lavorare a film anti-regime.
Nello stesso anno a Panahi era stato inoltre vietato di realizzare nuovi film, di viaggiare e di rilasciare interviste sia in Iran che all'estero, per vent'anni, con l'accusa di “propaganda contro il regime”: da quel momento l'autore ha girato in clandestinità, firmando lungometraggi importanti come “This Is Not a Film” del 2011 o “Taxi Teheran” del 2015, con cui ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino.Con queste pellicole Panahi è sempre riuscito a far sentire la sua voce e non fa eccezione questa sua nuova opera, in cui sposta l'attenzione dalle contraddizioni e ingiustizie della città di Teheran a quelle dell'Iran rurale.
Come nei suoi lavori precedenti, il regista è anche il principale interprete dei suoi film, capaci di combinare con equilibrio realtà e finzione: ne “Gli orsi non esistono” Panahi si trova in un villaggio al confine con la Turchia, mentre da remoto segue la lavorazione di una pellicola che la sua troupe sta girando nella capitale.
In questo film che mescola giustizia sociale e considerazioni sul linguaggio cinematografico, già l'inizio ci propone un'interessante riflessione sul potere dell'immagine, sulla fotografia e sul cinema stesso: argomenti che si svilupperanno lungo tutta la pellicola, anche a partire dalla sequenza di un processo locale, in cui Panahi, imputato, rompe le tradizioni del luogo e sceglie di filmarsi, così da sottolineare ancora una volta quanto la verità debba essere documentata e non possa essere mai taciuta.Tra i tanti passaggi notevolissimi di un disegno d'insieme che funziona perfettamente, c'è però una scena che svetta su tutte le altre: un momento memorabile in cui il regista si trova prossimo a superare il confine iraniano, salvo poi tornare indietro in una sorta di anticipazione della parte conclusiva in cui sceglie di restare, nonostante il rapporto non facile con gli abitanti del luogo.Una scena che riassume il senso di questo grande film, in cui il cinema è l'arma per provare a resistere, nonostante tutto.  (Il sole 24 ore.com)