La TRAMA :
Princess è una giovane clandestina nigeriana che vende il proprio
corpo ai margini di una grande città. Come un’amazzone a caccia, si
muove in una pineta che si estende fino al mare, un bosco incantato
in cui rifugiarsi, nascondersi dalla vita, guadagnarsi il pane
quotidiano. Per sopravvivere deve fiutare l’odore dei soldi,
schivare pericoli e sentimenti, un cliente dopo l’altro, senza
soluzione di continuità. Finché un giorno litiga con le amiche con
cui condivide la strada e incontra un uomo che sembra volerla
aiutare. Ma è soltanto da sola che Princess potrà salvarsi.
La RECENSIONE di MoviePlayer : Come già fatto nel bel Cuori
Puri, Roberto De Paolis continua il suo percorso alla ricerca delle
umane contrapposizioni. Se nel suo esordio c'erano i confini di una
favola dai tratti luminosi, qui, nell'altrettanto riuscito film che
vi raccontiamo nella nostra recensione di Princess,
la favola in questione si fa più oscura e più profonda, pur non
perdendo di vista un estro cinematografico lieve e gentile, che
accarezza i suoi personaggi - e che personaggi - alla ricerca di un
posto sull'Isola che non C'è. Allora, mentre la musica originale di
Emanuele De Raymondi cita in apertura La Bella e La Bestia, con i
titoli disegnati in uno splendido font dai tratti disneyani, ci
ritroviamo poi a schiaffo nel bel mezzo di una radura - una
"foresta", secondo la strepitosa comparsata di Maurizio Lombardi,
protagonista di una sequenza poetica e amara - facendo la stretta
conoscenza di Princess (Glory Kevin), una ragazza nigeriana di
diciannove anni che, per vivere, vende il suo corpo. Insomma, tutt'altro
che una fiaba.
La radura in
questione è la pineta di Ostia, che separa la Roma Capitale dai
tratti desolati del litorale, e i clienti - alcuni bizzarri, alcuni
gentili, alcuni umanamente sperduti - vanno e vengono, consumando
velocemente un atto animalesco, scostante e meccanico. Ma l'intento
di De Paolis non è certamente quello di rintracciare i pietismi del
caso, anzi. Insomma, non vuole raccontare la miseria, non gli
interessa enfatizzare il dramma (che c'è, eccome se c'è), né
tantomeno puntare il dito verso chi, in cerca di chissà cosa, si
ritrova a pagare per avere uno sparuto bagliore di piacere. Infatti,
Princess, scollegata dall'umanità, è respingente e ostile,
concentrata unicamente sull'ottenere più soldi possibili. Come se
fosse - appunto - in preda ad un sortilegio malvagio che la rende
immune alla bellezza e, per certi versi, alla stessa umanità.
Prostituirsi, per lei, è un lavoro, e il lavoro occupa per intero le
sue giornate.
Che Princess non sia per forza una figura empatica lo capiamo fin da
subito: una sfortunata volpe viene investita e lei, insieme ad
un'altra prostituta, la trascina nel bosco. Crediamo vogliano
seppellirla, in un gesto dignitoso e umano, e invece no, la caricano
in una vecchia borsa e finiscono per cucinarla (!) nella loro
scombinata casupola, distante diverse fermate di autobus. Un
episodio che mostra chiaramente quanto Princess, presentato nella
Sezione Orizzonti di Venezia 79, sia un cinema
marcatamente vero. La vita della ragazza rispecchia in modo preciso
la terribile esistenza di chi è costretto a vivere ai margini (di
una strada, della stessa esistenza), e dunque la narrazione
circolare ed episodica non lesina nulla, facendo trasparire la
situazione ai margine vissuta da Princess e dalle altre ragazze,
(vere) vittime della tratta, nonché co-autrici del film
interpretando sé stesse. Ecco il motivo per cui Princess pare, a più
riprese, non seguire un copione ferreo, lasciando spazio d'azione
all'improvvisazione e alle emozioni della sua controparte
cinematografica.
Una protagonista che, a guardare in controluce, altro non è che una
principessa sperduta che non sa cosa voglia dire amare. Come nelle
classiche favole, sfiorerà la percezione che, in mezzo a quella
selva oscura, possa esserci nascosto un principe azzurro. Una
percezione, appunto. Un'abbozzo fiabesco che non tradisce l'idea
iniziale, assorbendo e iscenando le sensazioni che arrivano dalla
strada. E un percorso, che potrebbe portare ad una catarsi,
all'assaggio di una vita probabilmente migliore. Perché Corrado (Lino
Musella), cavaliere senza macchina appassionato di funghi
che preferisce gli animali agli umani (al contrario di Princess),
proverà con coraggio ad avvicinarsi alla principessa, inseguendo un
bacio che potrebbe risvegliarla dal torpore. Ma Princess, sgraziata
e ingenua, deve pur difendersi dalla ferocia del mondo, e quindi il
racconto di De Paolis finisce per alternare il degrado alla
liricità, l'umorismo ruspante agli occhi spenti di Princess,
personaggio che, come nel cinema Neorealista, annulla il confine tra
finzione e verità.
Il punto di vista, lungo il fluire delle due ore scarse (siamo
onesti, un paio di sequenze in meno avrebbero aiutato), non cambia
mai e la camera del regista resta fissa e tremolante sul volto della
ragazza. Non la molla un attimo, la tiene stretta a sé, le ricorda
quasi che al mondo può esserci il conforto necessario, e che anche
dopo la notte più buia c'è il sole, lì pronto a sorgere. Quello che
Roberto De Paolis affronta, dunque, è un viaggio poetico e amaro,
contornato dagli ancestrali spiriti guida e dalle
lacrime appena accennate.
Un viaggio che
rilegge i canoni classici delle fiabe, mischiando accecante
bellezza, straripante malinconia (del resto il litorale romano ha un
immaginario ben definito se si parla di malinconia) e irrimediabile
bruttezza. Tre elementi che coesistono nell'inconsapevole universo
di Princess. Tre elementi che legano i fili di un racconto che
sfugge alle stesse regole delle favole. Perché quello che inquadra
il regista è più reale che mai. E non c'è soluzione di continuità,
bensì un cerchio chiuso da cui è impossibile scappare. Forse. |