Giugno
1944, la Francia è sotto l'occupazione tedesca.
Lo scrittore Robert Antelme, maggior
rappresentante della Resistenza, è arrestato e
deportato. La sua giovane sposa Marguerite Duras
è trafitta dall'angoscia di non avere sue
notizie e dal senso di colpa per la relazione
segreta con il suo amico Dyonis. Pronta a tutto
per ritrovare suo marito, si lascia coinvolgere
poi in una relazione ambigua con un agente
francese della Gestapo, Rabier, l'unico a
poterla aiutare. La fine della guerra e il
ritorno dai campi di concentramento annunciano a
Marguerite l'inizio di un'attesa insostenibile,
un'agonia lenta e silenziosa nel mezzo del caos
della liberazione di Parigi.
Con qualche libertà e una sublime delicatezza,
Emmanuel Finkiel rilegge il celebre romanzo di
Marguerite Duras
che lo sconvolse a 19 anni.
"Questa donna che attende il ritorno del marito
dai campi di concentramento faceva eco alla
figura di mio padre, una persona che aspettava
sempre. Anche quando ebbe la certezza che la
vita dei suoi genitori e di suo fratello era
finita ad Auschwitz". Il regista di Voyages
e
Je ne suis pas un salaud
adatta il testo della grande scrittrice per
arrivare a una considerazione universale su un
sentimento proprio di tutti gli uomini. L'opera
di Finkiel non è un biopic su Marguerite Duras,
ma un diario intimo del dolore, un ritratto
della presenza dell'assenza, un viaggio
interiore di un'anima ripiegata su se stessa che
Mélanie Thierry ha saputo brillantemente portare
alla luce. L'attrice francese attraversa
magistralmente l'evoluzione di Marguerite Duras
dagli anni della sua gioventù a quelli della sua
maturità.
"Di fronte al camino, il telefono, è affianco a
me. A destra, la porta del salone e il
corridoio. In fondo al corridoio, la porta
d'ingresso. Potrebbe ritornare direttamente,
suonerebbe alla porta d'ingresso: "Chi è? - Sono
io". Finkiel così annuncia l'attesa, citando in
apertura del film l'inizio del romanzo, tratto
dal giornale personale che Duras aveva scritto
dopo l'arresto di suo marito nel '44, e poi a
lungo dimenticato. Tra diario intimo e racconto,
il film traduce fedelmente in immagini il
romanzo aspro e ardente attraverso un'esemplare
messa in scena e la distanziazione propria della
scrittura di Duras, senza rinunciare ad
esplorare la violenza dei sentimenti. Lo
sdoppiamento, l'alienazione della donna che si
guarda allo specchio, si osserva dall'esterno
nelle immagini che finiscono per offuscarsi,
rende ancor più potente la descrizione delle
emozioni. |