Martedì 15 Giugno Mercoledì 16 Giugno
Due, la recensione:
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Si dice che l'amore non abbia ostacoli, che quando si è innamorati si fanno cose folli e che tutto intono a noi si colora di tinte accese, di profumi intensi e di colpi al cuore improvvisi. Quello immortalato da Filippo Meneghetti nella sua opera prima, Due, è il ritratto del vero amore, di quello che fa male più della malattia stessa, di un palliativo da assumere in grandi dosi e capace di distruggerti, ma anche di fortificarti. Nina (Barbara Sukova) e Madeleine (Martine Chevallier) diventano le modelle perfette di un dipinto sincero, costruito con eleganza dal proprio regista e steso sulla tela con le mille sfumature di un amore nato e maturato per vent'anni all'ombra di un segreto. Incontratesi per caso a Roma, le due donne hanno imparato a conoscersi, amarsi, a volte detestarsi, mentre intorno a loro si ergeva una fortezza sicura, capace di tenerle nascoste dagli occhi indiscreti delle proprie famiglie e dei pregiudizi altrui. E poi, quando il filo del loro sentimento sembrava spezzarsi, ecco che un uragano imponente come la malattia di Mado si abbatte sul loro nascondiglio, distruggendolo mattone dopo mattone e rivelando a piccoli passi il loro folle, eterno desiderio. Questo film è uno dei più struggenti e intensi portati sullo schermo nell'ultimo periodo e nella nostra recensione di Due vi spieghiamo perché. Spesso non ce ne accorgiamo, ma a tarpare le ali alle farfalle che ci riempiono lo stomaco, a fermare i battiti del nostro cuore impazzito, o a bloccare sospiri pieni di sentimento, è la società stessa. Una società che guarda con occhi straniti un amore reputato diverso perché omosessuale, una società pronta a epitetare e additare i suoi membri solo in base alla natura dei propri sentimenti. La storia d'amore mescolata alle tinte thriller concepita da Filippo Meneghetti punta dunque ad attaccare i tabù dell'universo occidentale: alle prese con le difficoltà affrontate da questo suo ménage parafamigliare, il regista scrive un saggio sulla vecchiaia e la (omo)sessualità, superando pregiudizi e suggerendo punti di riflessioni circa due aspetti delicati e quanto mai meritevoli di una degna rivalutazione. A legare le fila di questo discorso mai superficiale è l'amore universale, quello che unisce la madre ai propri figli, il marito alla moglie, l'amata all'amata. A farsi portatrici di questa sfida nei confronti del pregiudizio e dell'egoismo targato XXI secolo, sono Nina e Madeleine, due donne mature, considerate dagli altri come semplici vicine di casa, ma in realtà amanti da decenni. Con caparbietà le due protagoniste alzeranno il vessillo del vero amore, superando le incertezze, le paure e gli ostacoli imposti dalla società odierna. La macchina da
presa di Meneghetti si muove libera e leggera nello
spazio circostante, registrando gli scarti tra sguardi
furtivi, abbracci rubati, cuori che battono a vuoto e
sospiri silenziosi che investono un ambiente familiare
sempre più claustrofobico per il peso di omissioni e
continui non detti trascinati per tanti, troppi anni. La
cinepresa indaga con fare (psico)analitico: pedina i
suoi personaggi, li controlla, li espelle, per poi
liberarsene e inquadrare altro. La costruzione filmica
del regista classe 1980 predilige dunque una
complementarità da Yin e Yang sia cromatica che
attoriale. E così se i vestiti delle due donne, come le
tinte che colorano il loro mondo e quello dei famigliari
di Madeleine (i figli Anne e Frédéric), giocano su un
contrasto cromatico fatto di lotte continue tra freddo e
caldo, le interpretazioni di
Barbara Sukowa e
Martine Chevallier (proveniente dalla
Comédie-Francaise) sono sospinte da giochi dicotomici e
prossemici del tutto opposti e contrari. Il mutismo di
Madeleine si contrappone alle urla di Nina e ai
campanelli da lei suonati con insistenza, mentre il
corpo fermo, tenuto prigioniero e statico dalla malattia
della prima, si oppone al girovagare insofferente della
seconda, flâneur delle emozioni. Nel corpo immobile di
Madeleine si nasconde quella paura che attanaglia,
bloccandolo, il cuore e l'anima di chi ha paura di
mostrarsi per un pregiudizio incomprensibile e incapace
di scomparire. Il suo mutismo è lo stesso a cui la donna
si è auto-condannata per anni, privilegiando un
matrimonio distruttivo all'amore puro. Il suo è un volto
simulacrale segnato da un'afasia dominante per la paura
atavica di non essere capita; una contraddizione,
questa, in un percorso di guarigione in cui
l'accanimento terapeutico risulta vano, perché la vera
medicina per Madeleine sono gli occhi profondi, grandi e
pieni di amore di Nina. Un oceano pronto a investirla di
nuovo e con cui (re)imparare ad amare, senza più veli
dietro cui nascondersi o porte dietro cui separarsi. Tra
sottili e velate denunce verso un mondo sempre più
controllato da un egoismo incalzante, Deux scuote
l'animo del proprio pubblico nella speranza di mostrare
la bellezza del vero amore, senza distinzioni di sesso,
o genere. RECENSIONE DI MOVIEPLAYER https://movieplayer.it/articoli/due-recensione_21719/
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