TRAMA :
Marco è
allenatore di una squadra di basket
professionista di alto livello. Sorpreso
alla guida in stato di ebrezza viene
condannato a una pena d’interesse generale.
Per ordine del giudice deve quindi
organizzare una squadra di basket composta
da persone con un deficit mentale. Ciò che
era cominciato come una pena si trasforma in
una lezione di vita sui pregiudizi sulla
normalità...
RECENSIONE : Arriva nelle sale
italiane il 6 dicembre Non
ci resta che vincere, il
film del regista spagnolo Javier
Fesser che ha sbancato il box
office in patria, candidato per
rappresentare la Spagna agli Oscar nella
categoria miglior film straniero.
Marco (Javier Gutiérrez)
è il cinico e frustrato vice allenatore di
un’importante squadra di basket spagnola.
Licenziato per aver picchiato l’allenatore,
in crisi con la compagna, Marco disperato si
ubriaca e si schianta contro una volante
della polizia. Viene condannato a tre mesi
di lavori socialmente utili presso un centro
ricreativo per disabili. Qui deve allenare
una squadra di basket, gli “Amigos”,
costituita da un gruppo di dieci giovani con
decifit mentali. C’è l’ipocondriaco, quello
che ha paura dell’acqua, quello che ogni
tanto si incanta a fissare un punto nel
vuoto e quello che è molto bravo a giocare.
L’impatto per Marco non è dei migliori ma i
ragazzi si dimostrano da subito amorevoli
nei suo confronti, arrivando a cambiare
letteralmente la sua vita.
Non ci resta che vincere è una
“dramedy” dei buoni sentimenti, dall’humor
gentile e brillante che vede nei
protagonisti diversamente abili il suo punto
di forza. Interpretati da attori non
professionisti, il gruppo di simpatici e
imbranati giocatori con la loro contagiosa
voglia di vivere, nonostante le difficoltà
affrontate sin dalla nascita, è un
bellissimo esempio di come ogni vita valga
la pena di essere vissuta. Senza scadere nel
patetismo o nella retorica, Fesser riesce a
costruire una commedia, ispirata a vicende
reali, trattando temi controversi con
leggerezza e creando molti spunti di
riflessione. Sonia (Athenea Mata),
fidanzata in crisi di Marco, è l’emblema
della donna amorevole che sogna da sempre di
avere un bambino. Dopo l’incontro con i
ragazzi, affascinata dalla loro purezza e
dalla loro gioia, la donna si dice disposta
ad avere anche un bambino disabile,
consapevole di essere quasi fuori tempo per
una gravidanza sicura.
Irresistibili sketch e battute esilaranti
accompagnano le avventure di questa
“sgangherata” squadra di basket e del suo
allenatore. Il binomio sport e cinema si
dimostra di nuovo vincente ma il vero
successo del film è da ricercare nell’elogio
della diversità, in tempi di cinismo e di
riscoperta di abominevoli teorie di razza
pura. Lontano da pregiudizi e
falsi miti, Fesser dimostra come essere
disabili non significa vivere una vita
infelice ma, forse, apprezzarla ancora di
più, facendo tesoro di ogni singolo momento,
anche il più insignificante. È
questa la lezione che impara Marco, troppo
preoccupato a rovinarsi con le sue mani
perché incapace di amare davvero e di gioire
delle proprie fortune: un bel lavoro, una
grande donna al suo fianco, una vita
agiata. Partendo da questo presupposto la
vera anormalità è forse da ricercare in chi
non ha handicap.
La storia del cinema è ricca di fulgidi
esempi di film dedicati ai disabili: da
Io mi chiamo Sam all’indimenticabile
Forrest Gump commovente emblema
della “diversità”. Non ci resta che
vincere sembra candidarsi a rimanere
uno dei film più rappresentativi su questo
tema grazie all’ironia, alla bellezza e alle
emozioni che i suoi protagonisti riescono a
comunicare.
Un intento sicuramente pedagogico quello del
film, che nelle intenzioni del regista
poteva essere anche un documentario, volto a
mostrare come l’esperienza e l’esistenza
stessa di persone mentalmente disabili possa
essere una risorsa e fonte di arricchimento
per tutti i “normali” che hanno la
possibilità di viverli
quotidianamente. (Recensione
Cinematographe)
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